BERETTA OLIMPIA: TRAINER IMMORTALE

BERETTA OLIMPIA: TRAINER IMMORTALE

A più di mezzo secolo dalla comparsa sulle linee di tiro le carabine semiautomatiche Beretta serie Olimpia sono ancora piuttosto diffuse in molte sezioni TSN. Questo fatto ci ha spinti a indagare sulle ragioni di una vita utile così estesa con risultati, sotto certi profili, inaspettati.

Di G.Tansella 

Tra i tiratori dilettanti è piuttosto diffusa l’opinione secondo cui la presenza, nei poligoni, di armi decisamente vetuste – tra cui le carabine Beretta tipo Olimpia – sarebbe riconducibile alla scarsa propensione di molti dirigenti ad investire nel riallestimento, in chiave moderna, delle armerie. Questa riflessione, sotto certi aspetti condivisibile, non ci soddisfa però del tutto e due sono, in particolare, gli aspetti troppo spesso trascurati da chi non è totalmente immerso nel mondo dell’istruzione al tiro: in primo luogo occorre pensare alle specifiche tecniche che deve avere un’arma da insegnamento ponendo attenzione, prima, alla figura del profano ed alle sue vere necessità; in secondo luogo è bene concentrarsi sull’evoluzione delle tecniche di tiro in modo da ricercare, nello strumento propedeutico, gli elementi utili ad avvicinare lo studente a determinate discipline sportive. Le vere ragioni del successo delle Olimpia per quanto concerne l’addestramento al tiro sono infatti evidenti: si trattava, all’epoca del lancio commerciale, di armi di semplice utilizzo, rapidamente configurabili a seconda della modalità di tiro prescelta, estremamente robuste e poco impegnative per quanto concerne la manutenzione ordinaria. La domanda attorno alla quale si è sviluppata la nostra prova è tuttavia una sola: queste armi sono ancora effettivamente in grado di svolgere al meglio il proprio compito?

INTRODUZIONE AL SISTEMA D’ARMA

Le Beretta Olimpia, prodotte per circa un decennio a partire dagli anni ’50 del secolo scorso, sono delle carabine cal.22 LR spiccatamente simili, per disegno, alle tedesche Walther ideate prima della Seconda Guerra Mondiale. Secondo il manuale d’istruzione queste armi hanno destinazione dichiaratamente sportiva ma, in prospettiva storica, possiamo tranquillamente affermare che in quegli anni i prodotti per uso ludico e quelli militari avessero numerosi punti in comune e prova ne è il fatto che le Olimpia siano state adottate come armi d’addestramento dai corpi di varie Forze Armate come, per esempio, i Carabinieri. Queste armi, in generale, hanno le dimensioni ed il peso di un moschetto e, alimentate da caricatori amovibili di varia capacità, sono in grado di funzionare sia in modalità semiautomatica che a colpo singolo. I materiali sono quelli classici dell’epoca, con abbondante utilizzo di acciaio e legno di noce, rifiniti rispettivamente con brunitura anti-corrosione e con olio protettivo. L’impostazione, chiaramente sportiva, conserva ancora degli elementi tipici delle armi da caccia, spingendoci a considerare il fatto che si trattasse di fucili ideati appositamente per il tiro da campagna, dove stabilità ed agilità sono esigenze che costringono a soluzioni di compromesso.

ALCUNI DATI TECNICI

  

In generale l’arma della quale ci occupiamo ha una lunghezza di circa 1090 mm ed un peso di 3,75kg. La canna, lunga 600 mm e vincolata al castello con blocco a spina, è di tipo cilindrico con sezione esterna di 20 mm: al suo interno è lavorata a formare un sistema di lancio composto di sei righe destrorse, profonde un centesimo di millimetro, che si sviluppano verso la volata con un passo costante di 400 mm. La camera di scoppio, dimensionata in base alle dimensioni della munizione .22 Long Rifle, si sviluppa in 19mm di profondità ed ha un profilo lievemente conico: parte da un diametro di 5,88mm per restringersi poi a 5,7 mm nella zona del colletto. Il tubo di lancio ha invece una larghezza tra pieni di rigatura di circa 5,4 mm. Il castello, indicato nel manuale come “Gruppo Guardamano”, contiene il serbatoio con il relativo comando di sgancio a pulsante ed il meccanismo di scatto, regolabile dall’esterno agendo su una vite. Nei primi modelli non era così agevole regolare il sistema con un semplice cacciavite ma, quando si cominciò a produrre le sottoguardie monolitiche, venne praticato un foro nel ponticello in modo da raggiungere la vite e modificare lo scatto a proprio piacimento.

IL FUNZIONAMENTO

   
La culatta della canna è solidale con l’imponente castello. Questo, che contiene sia il meccanismo di scatto che quello di alimentazione, ospita nella parte superiore il porta-otturatore telescopico. L’accoppiamento dei due elementi è garantito da tre vincoli meccanici, due rigidi ed uno, quello posteriore, attivato dall’estensione della molla di recupero. L’otturatore vero e proprio, di generose dimensioni, ha una sezione frontale di forma semicircolare e funziona per semplice scorrimento: la molla di recupero, in condizioni normali, lo spinge in avanti contro la culatta, a garantire una chiusura di tipo labile. In questo modo l’arma funziona in modalità semiautomatica ma, con un espediente semplice e geniale al tempo stesso (onore al merito dei progettisti tedeschi) si modifica il sistema di chiusura passando alla modalità di ripetizione manuale ordinaria: una fresatura che interessa l’intera superficie curva dell’otturatore permette alla manetta di ruotare, per scorrimento, intorno all’asse di questo e di inserirsi in una apposito recesso della guida del porta-otturatore andando a costituire un vincolo meccanico di chiusura. Sfruttando la modalità di tiro manuale, oltre naturalmente a stimolare maggiore meditazione dei tiri, è possibile sfruttare in modo migliore i gas di sparo a beneficio delle prestazioni balistiche. Ricordiamo inoltre che sebbene l’otturatore “tipo Walther” lavori come un c.d “straight-pull” la manovra di ripetizione replica quella dei fucili ad otturatore girevole-scorrevole, a beneficio dell’addestramento di coloro che si preparano ad usare i classici “bolt-action”. Il mutamento della modalità di tiro comporta un conseguente cambiamento del punto di impatto dei proiettili ma, se l’esercizio non è finalizzato alla massima precisione – che richiede un azzeramento degli organi di mira – è possibile entro certi limiti compensare ad occhio il punto di mira in caso di ingaggio.

GLI ORGANI DI MIRA

  
La versione base della Olimpia monta le classiche mire metalliche composte da tacca regolabile e mirini intercambiabili: quello montato in fabbrica sulla carabina ha una sezione laterale di 2,5mm e poteva essere sostituito da altri due componenti rispettivamente da 2 e 1,5mm. Il sistema di regolazione della tacca sfrutta, per l’elevazione, l’azionamento di una vite passante attraverso il ritto d’alzo; per la deriva laterale è invece possibile stringere due viti a contrasto che bloccano la tacca – scorrevole lungo una guida trasversale – nella posizione voluta. Il profilo dalla tacca è semicircolare mentre quello del mirino è rettangolare. In tutti i modelli la culatta, di dimensioni sovrabbondanti, era lavorata per asportazione di truciolo in modo da ospitare un attacco proprietario, fissato con uno o due vitoni di fermo a seconda della serie dell’arma, adatto ad ospitare un congegno di puntamento telescopico. Un altro sistema per incrementare le doti di precisione dell’Olimpia prevedeva il montaggio, sulla codetta del castello, di una speciale diottra regolabile con sostegno a coda di rondine e blocco a morsa. Il mirino classico, in questo caso, era sostituito da un pezzo di forma circolare. Nota particolare: l’arma fotografata ha un particolare sistema di supporto della diottra, modificato da un valente armaiolo sulla base delle specifiche del proprietario: non volendo quest’ultimo intaccare il calcio originale in legno che, per fissare la diottra in modo classico, deve essere modificato, ha proposto una soluzione meccanica originale. Sulla codetta dell’arma è stato fissato un supporto a coda di rondine per la diottra, che può essere fissata e rimossa in modo veloce senza che sia stato alterato l’aspetto del calcio.

LA CALCIATURA

Si tratta di un elemento unico, ottenuto da massello di noce europeo e lungo 800mm, la cui forma è riconducibile agli schemi tipici delle costruzioni venatorie. La pala del calcio ha dimensioni e valori di piega che favoriscono l’imbracciata; l’impugnatura è invece semi-anatomica con base a coccia tonda e zigrini di presa realizzati a mano, com’era d’altra parte la norma in quegli anni. Il pezzo prosegue avvolgendo il castello per andare poi a costituire la guardia a coda di castoro con incavi lisci per la presa della mano debole. Il calcio è dotato di anelli porta-cinghia: quello posteriore è del tipo classico avvitato al calcio mentre quello anteriore è regolabile poiché si inserisce in un’apposita sede metallica incassata, dotata di più punti d’attacco a vite. La finitura è quella classica ad olio ed il calciolo è in acciaio brunito presso-stampato. Nel corso degli anni il disegno dei calci subì delle modifiche ed è possibile trovare delle belle carabine con poggia-guancia e “stop tipo montecarlo”, o con base dell’impugnatura piatta.

LA PROVA DI TIRO E LE CONCLUSIONI

La nostra equipe, nel realizzare la rituale prova di rosata che accompagna le recensioni, ha affrontato una situazione particolare: non ha potuto, in ragione di determinate circostanze, destreggiarsi con un’arma selezionata e opportunamente “preparata” ma, al contrario, si è vista consegnare una carabina scelta casualmente tra quelle destinate alle lezioni di maneggio. Questa circostanza, pur presentando per noi alcuni svantaggi di carattere pratico, ha comportato però il raggiungimento di un risultato importante per i lettori: l’esecuzione di un esperimento di tiro fortemente realistico, vicino cioè all’esperienza di tutti coloro che utilizzano le armi presenti nei poligoni. L’arma consegnataci dal direttore di tiro è una carabina della prima serie, come quella fotografata, dotata di mire tradizionali ed in condizioni meccaniche discrete eccezion fatta per lo stato di pulizia, che mostrava i chiari segni di un utilizzo intensivo. Se pensiamo che si tratta di carabine da istruzione questa circostanza, che potrebbe apparire sgradevole, ha tuttavia una spiegazione logica: il manuale del fabbricante consiglia una pulizia ogni 2/300 colpi sparati ma tale volume di fuoco si raggiunge tranquillamente, per le armi da istruzione ed allenamento, in poche ore di attività in poligono. Parliamo dunque di un’arma decisamente lontana dalla condizione ideale di pezzo “out of the box”, con svariate centinaia di migliaia di colpi sulle spalle ma, proprio per questo, particolarmente sincera. La fase di preparazione ci ha permesso di apprezzare le doti di bilanciamento dell’arma e quelle ergonomiche e persino lo scatto invece ci ha sorpreso per qualità, con una precorsa lunga ma uno sgancio decisamente netto. Non è stato possibile tuttavia azzerare personalmente gli organi di mira in ragione del fatto che le armi sono tarate dalla direzione di poligono. La prova di tiro finale, il cui risultato è stato certificato dalla direzione di poligono, ha prodotto risultati coerenti con le dichiarazioni del fabbricante e con le attese in relazione allo stato di conservazione dell’arma ed alle munizioni utilizzate, di fascia economica: una rosata di cinque colpi a 50 m i cui impatti sono compresi in un’area di circa 25 mm di diametro. Il manuale della carabina, menzionando la prova di tiro condotta in fabbrica su ogni singolo esemplare, parla di 19mm di dispersione massima degli impatti a 50 m con arma posta su cavalletto: ad influire sulla nostra prestazione pensiamo sia stata dunque la tecnica di tiro con arma appoggiata su sacchetto di sabbia, in modalità semiautomatica , e con il mirino spesso che tende a coprire il bersaglio con la propria sagoma. Senza dubbio con la diottra e munizioni da gara è possibile far meglio ma, in definitiva, non possiamo che dichiarare con decisione la nostra piena soddisfazione: l’Olimpia dimostra ogni giorno, sulle linee di tiro, di ben sopportare i carichi di lavoro che le vengono affidati e, in prova, ha ulteriormente dimostrato di potersi ben “esprimere”. Un elemento, in particolare, ci spinge ad essere ottimisti in relazione alla continuazione della sua vita operativa: la possibilità di tirare in modalità semiautomatica, alimentando l’arma con i caricatori originali da 10 colpi, ci suggerisce ottime potenzialità nel tiro rapido, modalità di sparo questa che, più che in passato, avvicina il tiratore a discipline sportive oggi in crescente affermazione. Ai nostri occhi la Beretta Olimpia, pur auspicando di riuscire a vedere molte più novità nelle armerie delle sezioni TSN, può considerarsi un “trainer” davvero immortale, un vero classico.

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